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sabato 10 dicembre 2016

argomenti per il SI






Una vittoria di Matteo Renzi, secondo l'opinione del Financial Time, non allontanerebbe l'Italia dal rischio politico. La preoccupazione principale del premier sarebbe quella di rafforzare il suo partito in previsione delle elezioni del 2018, trascurando altri interessi prioritari per il paese, come le riforme economiche. Il giornale auspica anche il verificarsi di un altro "Nazareno bis", dove Renzi troverebbe un accordo con Forza Italia per modificare la legge elettorale e indebolire il potere del Movimento 5 Stelle nelle prossime elezioni.


Nonostante in Italia regni l’incertezza sul risultato, Bruxelles sembra aver già trovato una risposta alla prima domanda: funzionari e rappresentanti istituzionali danno per certa la vittoria del No. E si interrogano - preoccupati - sulle conseguenze. Preoccupati perché quasi tutti fanno il tifo per Renzi: i suoi ammiratori ma anche chi ha maldigerito le sue recenti uscite di sfida all’Ue (e sono parecchi). In fondo la linea l’ha dettata lo stesso Jean-Claude Juncker: «Non vorrei vincesse il No» ha detto il presidente della Commissione Ue nell’intervista di domenica scorsa a La Stampa. Una presa di posizione forte, che in Italia gli è costata l’accusa di «ingerenza» da parte dell’opposizione.
(da lastampa.it)


In una riforma che poteva esser certamente più profonda e innovatrice, gli aspetti positivi superano quelli negativi. A fronte della situazione in cui versa l’affaticato (eufemismo) sistema istituzionale italiano, meglio cambiare che lasciare tutto com’è. I fautori del No, con ottimismo di maniera, sostengono che una riforma migliore è possibile: bene, ci mettano mano nella prossima legislatura e lo dimostrino. Certo, fare e disfare non ha gran senso: ma è già accaduto (col famoso titolo V) e nulla impedisce a questa agguerrita schiera di «riformatori in sonno» di lavorare ad un progetto di riforma migliore (ma vedrete che, passato il referendum, nessuno ne parlerà più...). Ancor più evidente è l’opportunità di un Sì se si riflette sugli effetti - in Italia e in Europa - di una eventuale vittoria del No. Per stare al nostro Paese, ci si ritroverebbe sicuramente senza un governo, con di fronte orizzonti incerti e scuri (eufemismo) e la quasi sicurezza che qualunque nuova soluzione di governo venisse trovata sarebbe più debole, disomogenea e precaria di quella attuale. Non è situazione nella quale risulterebbe piacevole ritrovarsi: soprattutto alla luce del fatto che sarebbe necessario lavorare a due nuove leggi elettorali rispetto alle quali i fautori del No hanno idee distanti e talvolta opposte. 



La stampa straniera  -  Washington Post


Per l’economista del WaPo uno dei problemi che ha “paralizzato” l’economia italiana– il virgolettato è una citazione da uno studio di Jacob Funk Kierkegaard del think tank americano Peterson Institute for International Economics – è il bicameralismo perfetto, con la Camera e il Senato che devono passare leggi identiche, che finiscono ostaggio di “coalizioni ingombranti” all’interno delle quali non c’è modo di mettere “limiti efficaci ai piccoli partiti” e con politici che spesso cambiano schieramento. “È presumibile che se il referendum passa il presidente del Consiglio Matteo Renziproporrà policy che riguardano il mercato del lavoro, le tasse e la spesa pubblica”, scrive l’economista americano.
E se non va? L’esito negativo viene esposto dal fondo usando le parole di un altro economista, Desmond Lachman, già alto funzionario del Fondo monetario internazionale, scritte in un contributo su The Hill: “L’Italia potrebbe essere davanti a un periodo prolungato di incertezza politica ed economica. Tale risultato potrebbe mettere in discussione l’appartenenza del paese alla zona Euro e questo potrebbe sollevare questioni fondamentali per quanto riguarda le possibilità della zona euro di sopravvivenza nella sua forma attuale”.
(da qui)

-  Stefano Boeri sul Corriere

Boeri, perché secondo lei è così importante che domenica prevalga il Sì?
«Intanto per la revisione del Titolo V: ci sono tante materie che hanno bisogno di una maggiore regia statale. Penso alla sanità, ai trasporti, all’energia. Oppure, da urbanista, mi viene in mente il tema decisivo del consumo di suolo, dove purtroppo gli sforzi di qualche Regione non hanno prodotto risultati significativi. E il bicameralismo spesso rappresenta un ostacolo a politiche urbane innovative. Faccio solo un esempio: qualche anno fa mi trovai a promuovere un progetto di legge per la musica dal vivo che avrebbe rivitalizzato il settore e dato lavoro a migliaia di giovani. Risultato: due anni d’interminabile ping pong tra le due Camere, uno stallo inaccettabile, sfibrante. Perché in questa situazione alla fine a vincere sono sempre i piccoli poteri di veto, le corporazioni, le microlobby».

 Questo appuntamento sta intanto lacerando il campo della sinistra...
«Una sinistra che vuole conservare lo status quo semplicemente non è sinistra. La questione in gioco mi pare proprio questa: da una parte c’è chi — anche con argomenti condivisibili — rischia di conservare i potentati locali e tutelare le capacità di veto delle minoranze individualiste. Dall’altra chi cerca di innovare, sveltendo e dando forza ai processi decisionali e democratici. Ecco, tra questi due campi non credo possano esserci reali dubbi su chi rappresenti davvero la sinistra».




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